L’abbandono e il distacco nell’esperienza umana sono processi naturali. Così come alcuni rettili mutano pelle o così come gli uccelli annualmente migrano,alle prime glaciazioni autunnali,verso terre più calde ed accoglienti, allo stesso modo ognuno di noi e in un certo qual modo sempre un po’mutante e un po’ migrante. Stiamo permanentemente abbandonando una terra per trasferirci altrove. Ciò avviene quotidianamente senza che noi ce ne accorgiamo; lo facciamo persino la sera,quando,abbandonandoci al sonno, ci lasciamo dietro un giorno per intraprenderne presto un altro. Questo distacco continuo nell’esperienza umana sarà sempre presente, finchè esisterà il tempo,finchè esisterà un prima e un dopo, fin quando un momento succederà quello immediatamente precedente:fin quando esisterà la storia.
E’ nella natura umana,nella natura del mondo il cambiamento,questo passaggio obbligatorio che finisce per costituirsi come un vero e proprio viaggio interiore,della coscienza umana,e che esiste da sempre in quanto tale. Che sia voluto,o che sia dovuto o è derivato da un senso di perdita e di straniamento o,diversamente, lo provoca.
Se un individuo decide di abbandonare la propria casa, i propri cari,la propria patria non lo fa certamente perché vi si trova a suo agio, Non sempre la società che circonda un individuo è in grado di farlo riconoscere negli ideali o nei modelli di vita che essa propone,creando nel soggetto quel dissidio interiore e quindi il conseguente desiderio di sentirsi appartenente ad un gruppo,di sentirsi parte di un luogo tanto da potercisi fondere e diventarne esso stesso parte integrante, in modo da “vivere” e non da limitarsi solamente ad “esistere”. La continua aspirazione alla felicità,che diventa quindi necessità, porta l’uomo ad attuare il cambiamento,ad intraprendere il viaggio, così come la continua aspirazione ai piaceri dei sensi spinge alcuni animali a migrare. Non era forse una forma di necessità la ricerca di un luogo più prospero che spingeva le tribù nomadi a dirigersi continuamente altrove? Ma spesso si tratta anke di un passaggio obbligatorio. Si è parlato in questo caso,forse in senso più diretto e concreto,di esilio,tema molto caro alla letteratura romantica e neoclassica e certo esperienza più traumatica rispetto al cambiamento volontario.Ma obbligatorio e necessario lo è anche la vita stessa, lo scorrere incessante delle stagioni, il passaggio dall’età giovanile all’età matura e poi alla senilità,quell’attraversamento che,impregnato di continue e nuove esperienze, si costituisce come fruttuoso percorso di crescita personale,per giungere infine all’estremo distacco, il passaggio stesso dalla vita alla morte. E così come non sappiamo cosa ci aspetta dopo questa vita terrena,così non possiamo immaginare cosa ci attenderà quando intraprenderemo un viaggio, quando abbandoniamo una terra per un’latra. Quando uno parte,si sa, deve essere pronto a tornare o a non tornare affatto. E’ una porta che lui apre all’interno di una stanza buia e che a volte si richiude da sola alle sue spalle. Bisogna essere consapevoli di questo e bisogna saper rinunciare un certo “se stesso” per scommettere su un futuro se stesso,lasciare quella parte di sé che ci ha accompagnati da sempre e ci ha fatto da trampolino di lancio,proprio come quando si compiono diciotto anni,in vista di una nuova,auspicata migliore.
Siamo quindi in continua mutazione,in perenne migrazione fin nelle cose più banali. Siamo migranti quando lasciano i vecchi schemi e le vecchie abitudini per aprirci a nuove circostanze di vita. Un matrimonio,una separazione,la morte di una persona cara,chi intraprende un viaggio non da turisti ma per lasciare quello che “chiama” comunemente madrepatria in vista di un'altra che possa invece “sentire”come tale.
E’ un viaggio esteriore, e al contempo interiore,persino la lettura di un libro. Forse è proprio questa consapevolezza che ci spinge a non fermarci davanti agli ostacoli che continuamente ci si pongono davanti o che sembrano spesso ineliminabili. Quando la scimmia lascia il ramo dove è appesa per aggrapparsi ad un altro che ha intravisto tra il fogliame, può sembrare a chi l’osserva che voglia spiccare il volo senza ali di sorta. Ma per istinto la scimmia sa benissimo che non precipiterà nel vuoto. Allo stesso modo, qualcosa dentro al migrante sa dove si trova esattamente il ramo che lo aspetta, che aspetta le sue mani sicure, ed è questo qualcosa che lo spinge al salto.
E’ nella natura umana,nella natura del mondo il cambiamento,questo passaggio obbligatorio che finisce per costituirsi come un vero e proprio viaggio interiore,della coscienza umana,e che esiste da sempre in quanto tale. Che sia voluto,o che sia dovuto o è derivato da un senso di perdita e di straniamento o,diversamente, lo provoca.
Se un individuo decide di abbandonare la propria casa, i propri cari,la propria patria non lo fa certamente perché vi si trova a suo agio, Non sempre la società che circonda un individuo è in grado di farlo riconoscere negli ideali o nei modelli di vita che essa propone,creando nel soggetto quel dissidio interiore e quindi il conseguente desiderio di sentirsi appartenente ad un gruppo,di sentirsi parte di un luogo tanto da potercisi fondere e diventarne esso stesso parte integrante, in modo da “vivere” e non da limitarsi solamente ad “esistere”. La continua aspirazione alla felicità,che diventa quindi necessità, porta l’uomo ad attuare il cambiamento,ad intraprendere il viaggio, così come la continua aspirazione ai piaceri dei sensi spinge alcuni animali a migrare. Non era forse una forma di necessità la ricerca di un luogo più prospero che spingeva le tribù nomadi a dirigersi continuamente altrove? Ma spesso si tratta anke di un passaggio obbligatorio. Si è parlato in questo caso,forse in senso più diretto e concreto,di esilio,tema molto caro alla letteratura romantica e neoclassica e certo esperienza più traumatica rispetto al cambiamento volontario.Ma obbligatorio e necessario lo è anche la vita stessa, lo scorrere incessante delle stagioni, il passaggio dall’età giovanile all’età matura e poi alla senilità,quell’attraversamento che,impregnato di continue e nuove esperienze, si costituisce come fruttuoso percorso di crescita personale,per giungere infine all’estremo distacco, il passaggio stesso dalla vita alla morte. E così come non sappiamo cosa ci aspetta dopo questa vita terrena,così non possiamo immaginare cosa ci attenderà quando intraprenderemo un viaggio, quando abbandoniamo una terra per un’latra. Quando uno parte,si sa, deve essere pronto a tornare o a non tornare affatto. E’ una porta che lui apre all’interno di una stanza buia e che a volte si richiude da sola alle sue spalle. Bisogna essere consapevoli di questo e bisogna saper rinunciare un certo “se stesso” per scommettere su un futuro se stesso,lasciare quella parte di sé che ci ha accompagnati da sempre e ci ha fatto da trampolino di lancio,proprio come quando si compiono diciotto anni,in vista di una nuova,auspicata migliore.
Siamo quindi in continua mutazione,in perenne migrazione fin nelle cose più banali. Siamo migranti quando lasciano i vecchi schemi e le vecchie abitudini per aprirci a nuove circostanze di vita. Un matrimonio,una separazione,la morte di una persona cara,chi intraprende un viaggio non da turisti ma per lasciare quello che “chiama” comunemente madrepatria in vista di un'altra che possa invece “sentire”come tale.
E’ un viaggio esteriore, e al contempo interiore,persino la lettura di un libro. Forse è proprio questa consapevolezza che ci spinge a non fermarci davanti agli ostacoli che continuamente ci si pongono davanti o che sembrano spesso ineliminabili. Quando la scimmia lascia il ramo dove è appesa per aggrapparsi ad un altro che ha intravisto tra il fogliame, può sembrare a chi l’osserva che voglia spiccare il volo senza ali di sorta. Ma per istinto la scimmia sa benissimo che non precipiterà nel vuoto. Allo stesso modo, qualcosa dentro al migrante sa dove si trova esattamente il ramo che lo aspetta, che aspetta le sue mani sicure, ed è questo qualcosa che lo spinge al salto.